Il lavoro a percentuale nuoce gravemente al fundraising… e non solo!


Il banner della campagna di Assif contro la percentuale nel fundraising

Il banner della campagna di Assif contro la percentuale nel fundraising

Quanti di voi, colleghi fundraiser, si sono sentiti rivolgere l’oscena proposta?: “Ti pago a percentuale”. Come? Sì, proprio così, o meno secca, in una delle tante varianti:

– “be’, voi fundraiser non siete dei commerciali? E allora se porti a casa i soldi, io ti pago”;

– “sai, soldi non ce ne sono molti, ma ovviamente se riesci a raccogliere dei fondi poi ci mettiamo d’accordo e una percentuale va a te”;

– “noi siamo una onlus, lo sai, non possiamo rischiare. Non è etico che spendiamo troppi soldi, di certo non possiamo spenderli nel marketing e nel fundraising. Non sarebbe etico… Però se tu riesci a raccogliere soldi, poi possiamo concordare una percentuale”.

Comunque vi abbiano posto la questione, sono sicuro che a ognuno di noi, nel corso della carriera, di proposte indecenti come queste ne siano arrivate decine. Oggi, con la crisi, quello che un tempo sembrava solo un cattivo vezzo delle organizzazioni meno strutturate, sta diventando una moda straripante, una marea che travolge tutti, dalle ragazze e i ragazzi appena usciti dai master (dopo 1 laurea, 1 specializzazione, due o tre stage e qualche esperienza all’estero!) fino alle professioniste e ai professionisti con più anzianità di servizio.

Quale dev’essere la nostra reazione? Semplice, chiara, univoca:

ora basta! Io non lavoro a percentuale

Perché? Assif, l’Associazione Italiana Fundraiser, ha appena lanciato la campagna ZEROXCENTO contro il lavoro a percentuale (che, lo ricordo, è vietato dalla maggior parte dei codici internazionali). Ecco le ragioni dell’associazione:

  • un fundraiser sa che l’efficacia dell’attività non dipende unicamente dal proprio operato, bensì da una pluralità di fattori;
  • un fundraiser sa che questa forma di retribuzione può indurre a scelte e comportamenti più mirati al guadagno personale che all’interesse dell’ente per cui opera e alla volontà del donatore;
  • un fundraiser sa che il suo operato è frutto di relazioni, reciproca fiducia, consenso e adesione con il donatore. Tale valori devono essere mantenuti e rispettati;
  • un fundraiser sa che il reale valore della prestazione fornita tiene conto anche dei risultati intangibili che la sua attività genera con passione, etica e competenze.

Aggiungo a queste alcune delle motivazioni che mi hanno spinto a fare pressione su questi temi  e che mi spingono ad aderire con entusiasmo:

  • la percentuale nuoce gravemente alla crescita del nonprofit: disabitua all’investimento, alla capacità di rischio, al confronto con il donatore e con il mercato. Lascia proliferare iniziative temerarie, senza alcun business plan o senza alcuna seria analisi dello scenario circostante (ci sono già altre onlus che svolgono questo compito? come lo svolgono? quanto hanno investito in professionalità? qual è il livello di servizio raggiunto? ecc. ecc.). La percentuale è foriera di un’inevitabile crollo della qualità, esattamente come in altri settori della comunicazione e del marketing lo è stato il disdicevole abuso delle gare;
  • la percentuale distrugge l’immagine del nonprofit: riempie il mercato di avventurieri con mazzette di progetti in mano e senza alcuna preparazione specifica rispetto alla causa (o alle cause) di cui si fanno portavoce; porta alla ribalta presidenti e direttori che non hanno alcuna fiducia nella causa o nelle persone, ma che riducono la loro stessa causa esclusivamente a un gioco di entrate e uscite la cui unica certezza è il loro stipendio, non certo il benessere dei beneficiari o dei professionisti coinvolti;
  • la percentuale trasforma il terzo settore in un’impresa commerciale basata sul rapporto sinallagmatico (ti do se mi dai (do ut des), fino a contaminare anche il rapporto fra domanda e offerta di lavoro;
  • la percentuale scarica il rischio d’impresa esclusivamente sul soggetto più debole, il prestatore d’opera, lasciandolo spesso e volentieri in balia di pescecani vestiti da santi o dame della carità. Provate poi, ammesso che vi vada bene, a esigere il dovuto: avrete bisogno di un buon avvocato e di un ottimo commercialista. Probabilmente non vedrete mai i soldi o li vedrete solo dopo qualche anno, sperando  che i vostri familiari siano riusciti a sostenervi fino a quel giorno;
  • il fundraiser non è un commerciale! Se c’è qualche collega che lo pensa, prego si accomodi fuori. Se c’è qualche presidente o dirigente che lo pensa (molti, moltissimi): please, lasciatevi dire che non avete capito nulla.  A percentuale lavorateci voi! La percentuale è l’antitesi della professionalità e dell’imprenditorialità;
  • ultimo, ma non l’ultimo: il lavoro a percentuale non è etico! Non rispetta i valori della persona, oltre a non rispettare i valori che dovrebbero stare alla base del nonprofit e della nostra comunità.

Se non vi ho convinto, vi consiglio vivamente di leggere i post dei tanti colleghi che in queste ore si stanno mobilitando:

Stefano Malfattihttp://www.fundraisinglink.it/la-percentuale-dei-no/

Raffaele Piccilihttp://www.beafundraiser.it/io-non-lavoro-a-percentuale-2.html

Massimo Coen Caglihttp://www.blogfundraising.it/sul-fund-raising/lavoro-a-percentuale-avvelena-fundraising-digli-di-smettere-e-spiegagli-il-perche/

Elena Zanellahttp://elenazanella.wordpress.com/2013/04/25/assif-dice-stop-al-fundraising-a-percentuale/

Riccardo Friedehttp://www.fundraisingkmzero.it/fundraising-a-percentuale-solo-allo-0/

Andrea Rombolihttp://www.romboliassociati.com/io-non-lavoro-a-percentuale-campagna-assif-0/

Fabio Ceseri: http://welfareweb.wordpress.com/2013/05/16/manifesto-zeroxcento-png/

Sul sito di Assif trovate manifesto, banner, comunicato stampa e cover per facebook. Cosa aspettate?  Aderite e non dite che non vi avevamo avvertito: il lavoro a percentuale nuoce gravemente ai fundraiser, al nonprofit e all’intera comunità.

3 pensieri su “Il lavoro a percentuale nuoce gravemente al fundraising… e non solo!

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