Fundraising, tra storia e cambiamento


Qualche giorno fa ho partecipato a un evento organizzato dall’Ordine dei Commercialisti di Milano dove ho parlato di fundraising davanti a una platea composta da professionisti e responsabili di organizzazioni non profit.

L’esperienza è stata davvero bella e per una serie di ragioni.

Intanto perché mi ha permesso di ripensare, anche in chiave prospettica, al mio lavoro e ad alcune delle sollecitazioni che in questi mesi sono emerse dalla lettura di vari blog (cito al volo quelli di Elena Zanella, Riccardo Friede e Raffaele Piccilli… vi leggo quando posso… anche se sembro assente 😉 ) e, soprattutto, dal meraviglioso lavoro di evengelizzazione che sta facendo Valerio Melandri)

In secondo luogo perché, insieme all’Ordine (e in particolare insieme a Barbara Farnè e a Matteo Zagaria), abbiamo costruito un percorso di avvicinamento all’evento che mi ha permesso uno scambio costante e proficuo di idee e punti di vista con due grandissimi professionisti, come Sandro Massi (sodale di Carlo Mazzini) e Luigi Maruzzi (di Fondazione Cariplo). Insomma, tanto, ma davvero tanto da imparare 🙂

Last but not least, perché la platea era diversa dal solito e testare un ragionamento inconsueto (e un po’ provocatorio) sul fundraising era rischioso. Pare sia andata bene, però: cosa che mi fa pensare che siamo un po’ meno marziani di quanto ogni tanto non sembri nei corridoi ristretti del nostro mondo.

Per chi avesse voglia, in alto c’è la mia presentazione.

Un caro saluto a tutti

ps.: aggiungo in corsa, sulle riflessioni, questo bellissimo articolo di Mattia Dell’Era sulla Social Enterprise  e lo scambio (facilitato dalla “convivialità”) avuto con Paolo Venturi e Sandra Savelli di Aiccon 

 

3 pensieri su “Fundraising, tra storia e cambiamento

  1. Come dicono le tue slide, la raccolta fondi è in primis la Sostenibilità della causa, la relazione con le comunità e l’investimento nelle risorse umane. Alla base di questa descrizione il cambiamento che deve affrontare il settore è (a mio avviso) di tipo concettuale.

    Il Non profit ha necessità di un nuovo modello di architetture di partecipazione, intelligenza collettiva e meccanismi di emergenza. L’introduzione della collaborazione all’interno dei processi lavorativi delle Non profit è un trend inarrestabile, già avviato e con potenziale decisamente maggiore delle community di utenti stand-alone che hanno caratterizzato la prima era del “Social” Fundraising.

    La partecipazione sta diventando il cardine principale che spinge il donatore a fidelizzarsi verso una associazione e questa è resa ancor più di spessore con l’utilizzo degli strumenti social che permettono un’interazione rapida, semplice e costante.

    Le ONLUS non si possono più permettere di essere solamente “Social Out” ma devono iniziare ad essere anche “Social In”, intendendo il modello ed i flussi lavorativi all’interno dell’associazione come una sorta di collaborazione propositiva al fine di migliorare ogni ingranaggio della filiera delle strutture.

    Discorso complesso… ma visione corretta! Bravo Paolo

  2. Caro Paolo, condivido al 110% e soprattutto condivido la condivisione, la voglia che traspare dalle tue riflessioni di mettersi a confronto anche e soprattutto con i colleghi (che manca in maniera diffusa, ma si limita a sporadiche e illuminate singolarità). Un’altra cosa che emerge dalla tua riflessione e che mi preme sottolineare è che se vogliamo che il nostro ambito di lavoro voglia produrre valore a partire dalle esigenze vere della comunità, un po’ di “selezione all’ingresso” vada obiettivamente fatta, stanchi come siamo di confrontarci con un mercato spesso saturo di “sole” che abbassano il minimo comun denominatore degli slanci di cui il fundraiser si dovrebbe nutrire. Grazie

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