Comunicazione sociale e innovazione: una buona idea per la RAI


Il futuro della RAI sta vivendo giorni che potrebbero rivelarsi decisivi. L’elezione del Presidente della Commissione di Vigilanza sui Servizi Radiotelevisivi è un passaggio fondamentale che prelude però a un’altra tappa importante: la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione della RAI.

E di RAI, del suo futuro, del rapporto tra servizio pubblico e comunicazione sociale,  in quest’ultimo periodo mi è capitato di parlare spessissimo con diversi colleghi e operatori del settore profit.

Si fa sempre più strada la consapevolezza che, a dispetto del ruolo per il quale la RAI sarebbe statutariamente preposta, i temi del sociale, e soprattutto quelli legati alle grandi sfide poste dalla globalizzazione, trovino sempre meno spazio nel palinsesto o finiscano per essere confinati a orari sempre più improbabili. E sia ben chiaro: non si tratta qui solo di rivendicare un maggiore spazio per l’associazionismo italiano o per le iniziative di fundraising…

Quello che sta sparendo dalla televisione, dai telegiornali, dalle trasmissioni di approfondimento e anche dagli show di intrattenimento è il racconto del mondo, delle sue interconnessioni (anche con i nostri problemi quotidiani), delle sue miserie, delle sue guerre, ma anche delle tante novità che stanno letteralmente cambiando il corso della storia.

Quanti sanno in Italia che il Sudafrica, la prima economia del continente africano, ha cambiato presidente? Quanti sanno dov’è il Darfur e cosa vi sta accadendo? Quanti hanno capito che impatto sta avendo quello straordinario passaggio storico che è il ritorno di due grandi potenza storiche come la Cina e l’India sullo scacchiere internazionale? Quante volte vi è capitato di sentir parlare di America Latina in questi ultimi mesi salvo che per i vari uragani che si sono succeduti?  Avete mai visto passare in TV non solo le notizie degli scandali sulle operazioni umanitarie ma anche le tante bellissime esperienze che le organizzazioni non governative sostengono in tutto il mondo?

Lo stesso spazio per l’associazionismo sociale in Italia è sempre più sacrificato in angusti spazi, spesso per appelli di raccolta fondi che finiscono per apparire sempre più strumentali perché precipitati all’interno di un palinsesto avulso da temi quali povertà, accesso all’acqua, istruzione universale, pandemie, commercio equo, condizione dei diritti dell’infanzia… Questo con il paradossale risultato di provocare stanchezza nello spettatore proprio nel paese in cui di quello che accade in giro per il mondo si parla forse meno.

Sono convinto che la RAI abbia un potere e insieme una responsabilità decisiva nell’invertire la rotta. Nel riprendere in mano il discorso sulla narrazione della realtà. Nel cercare e sperimentare nuovi format, nuovi modi per parlare con e del mondo. Per innovare, per esempio, anche sui format con cui viene proposta in questo paese la raccolta fondi.

C’è l’idea, diffusa, che tutto questo non interessi ai cittadini. Peggio ancora: non faccia audience. E la RAI, che oggi vive anche e soprattutto di pubblicità, non può permettersi troppo sociale in TV.

Francamente non ho mai creduto in nessuno dei due assiomi. La RAI è e rimarrà servizio pubblico, con precisi obblighi ma anche con quella libertà (anche finanziaria) di raccontare il mondo e sperimentare che è in genere la caratteristica principale di molti servizi pubblici radiotelevisivi (dagli USA con PBS, alla Francia fino alla proverbiale BBC inglese).

Per quanto riguarda l’audience, sono convinto che si tratti solo di imparare a comunicare, in modo nuovo, con un occhio alle novità tecnologiche, ai nuovi gusti del pubblico e a quelle nuove generazioni che dalla TV stanno scappando temi di rilevanza fondamentale. Lo si può fare senza annoiare. Lo si può fare interessando. Coinvolgendo. Spingendo alla partecipazione. Lo si può fare qualificando l’offerta stessa della RAI in maniera concorrenziale.

Per farlo però serve un cambio di marcia e di mentalità che investa innanzitutto il prossimo Consiglio di Amministrazione della RAI. Abbiamo bisogno di qualcuno che conosca le sfide che ci stanno davanti. Che conosca le associazioni italiane e abbia imparato a dialogare con loro… Ma che soprattutto conosca la RAI e sappia valorizzare, coerentemente con suoi i piani commerciali, anche la sua missione istituzionale di voce della realtà e della società civile e non solo degli inserzionisti pubblicitari o del Parlamento.

Di questo sono convinto da tempo e per questo ho trovato una buona idea quella di Sergio Marelli, Don Luigi Ciotti, Guido Bertolaso e Luca Pancalli di proporre la candidatura di Carlo Romeo, direttore del Segretariato Sociale, a membro del prossimo Consiglio di Amministrazione della RAI.

Conosco Carlo Romeo da qualche tempo. Ho avuto il piacere di incontrarlo in più di un’occasione e di scambiare con lui alcune impressioni sul futuro della RAI. Ho avuto anche la fortuna di lavorare a un progetto in comune (la realizzazione di un documentario sui campi profughi libanesi appena presentato al Prix Italia di Cagliari). Ho visto il grande lavoro fatto ai tempi di Amore, la trasmissione di Raffaella Carrà grazie alla quale ben 130.000 (!!!!!) bambini sono riusciti a trovare un sostegno a distanza… Lo conosco anche come uomo super partes, non asservito agli schieramenti politici né alle istanze di un ristretto gruppo di associazioni importanti.

L’innovazione del nostro settore, l’innovazione anche nella capacità di fare fundraising delle nostre organizzazioni, nell’imparare a raccontarsi e a raccontare il mondo in cui operiamo credo che trovi nella RAI uno strumento fondamentale di crescita e nelle sue scelte future uno snodo di importanza cruciale: Carlo Romeo mi sembra la persona giusta a interpretarlo e perciò non posso che appoggiare la bella iniziativa lanciata dai 4 protagonisti del non profit italiano.

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3 pensieri su “Comunicazione sociale e innovazione: una buona idea per la RAI

  1. Bhe Paolo non puoi non trovarmi daccordo a sostenere questa candidatura!
    Spero veramente che ci sia in futuro maggior responsabilità dei media standard verso le tematiche sociali ma credo che una possibilità risieda nel dimostrare come questa possa riscuotere successo nei nuovi media e di riflesso credo che anche la tv ed in particolare la RAI possa seguire il buon esempio.
    La tua passione è uno stimolo per tutti noi nel costruire un mezzo democratico di comunicazione con strumenti che coinvolgano attivamente le persone… 😉

  2. Caro Paolo, non sono d’accordo.

    Il problema, a mio avviso, non sta nella persona di Carlo Romeo o chi per lui. Sta nel fatto che la RAI deve fare bene il suo mestiere.

    Quando non racconta il Darfur, quando non spiega il ruolo di India e Cina nello scenario mondiale, la RAI non si dimostra disattenta al sociale: si dimostra incapace di raccontare le notizie.

    Allora mi verrebbe da dire che piu’ che dotarsi di un ‘esperto di sociale’, il Cda deve garantire che nella RAI lavorino persone davvero esperte di esteri, davvero esperte di economia, eccetera eccetera…

    Come ONG dobbiamo rivendicare non lo ‘spazio per il sociale’, bensì pretendere che gli organi di informazione facciano bene il loro mestiere, il che vuol dire – per fare un esempio banale – che non si puo’ parlare di immigrazione senza mai approfondire la situazione dei paesi da cui gli immigrati scappano.

    Diversamente continuiamo a perseguire l’ottica della ‘riserva’: si chiede spazio al sociale, e magari la RAI te lo da’ pure – piccolo e ben confinato – ma questo e’ sbagliato.

    Ancor piu’ sbagliato mi sembra che le ONG facciano nome e cognome di una persona per il Cda della RAI. E’ un ragionamento, ripeto, che prescinde dalla persona di Carlo Romeo.

    Noi dobbiamo batterci affinche’ la RAI faccia bene il suo mestiere, ma certo questa lotta – importantissima! – non deve passare attraverso l’indicazione di una persona o un’altra (peraltro, anche ammesso che la si voglia indicare, su quali basi sceglierla? titoli? concorso? diamo per scontato che non esistano persone piu’ adatte del pur bravo Romeo?).

    L’indicazione del nome e’ un sistema che gia’ adottano partiti e altri gruppi di interesse: certo loro non lo fanno in modo trasparente, per carita’, ma mi pare una logica di ‘collateralismo’ che dovremmo superare con convizione.

    daniele

  3. Caro Daniele, intanto grazie mille di essere intervenuto sulla questione che sapevo avrebbe suscitato perplessità e obiezioni, come del resto conferma la posizione fortemente critica espressa in una delle sue “puntine” da Riccardo Bonacina.

    Confesso che prima di scrivere questo intervento mi sono interrogato un po’ sulla questione e ho cercato anche il confronto con alcuni colleghi di cui ho grandissima stima. La decisione di uscire pubblicamente è anche nata dalla voglia di portare la discussione all’aperto, fuori dal chiacchiericcio politico che mi sembrava si stesse producendo.

    Al di là dal nome di Carlo Romeo, al di là dell’individuazione stessa della figura e del bagaglio di esperienze richiesto a un membro del CDA Rai, credo che valga la pena soffermarsi su alcune domande che la candidatura di Romeo anche se indirettamente solleva:

    – siamo davvero sicuri che il Sociale non debba essere espresso all’interno del CDA della Rai? In questi anni abbiamo visto professori universitari, giornalisti, manager, funzionari, giudici, politici, scrittori e tanto altro ancora del CDA. La cosa non mi stupisce: lo statuto della RAI, la sua stessa funzione di servizio pubblico ne fanno anche un luogo necessariamente aperto a esprimere la società italiana. Da questo punto di vista perché proprio il sociale non deve trovare rappresentazione? Il sociale, sia chiaro, come credo lo dovrebbe intendere il servizio pubblico: non l’apertura stile programmi dell’accesso a ogni singola voce, ma la capacità di raccontare il reale, la società, con autonomia, indipendenza e competenza.

    – le organizzazioni del terzo settore, che rappresentano una fetta sempre più importante del pil del paese, hanno nel loro dna un rapporto strettissimo con quel racconto della società: ci occupiamo di immigrazioni, povertà, guerre, salute e sanità pubblica, violenza, questione di genere, trasparenza, criminalità, disabilità, droga, questione giovanile, rapporto fra religioni, ecc. ecc. E in quanto tali sono spesso “provider” di informazioni, promotrici di riforme di legge, di interventi sociali, ecc. ecc. Io credo che questo ruolo vada riconosciuto, anche all’interno del servizio pubblico radiotelevisivo, ferma restando poi la piena autonomia dei direttori di rete, di struttura e delle redazioni dal CDA stesso oltre che dalla politica e da qualsiasi idea di collateralismo stesso con le nostre organizzazioni;

    – proprio per evitare qualsiasi collateralismo, preferirei che questo ruolo fosse rappresentato da qualcuno fuori dalle organizzazioni stesse e dalla loro storia. Qualcuno però con conoscenza del sociale, delle tematiche che le nostre organizzazioni portano avanti (che è poi il racconto della società) e delle logiche della comunicazione (quindi non asservito al modo vecchio, noioso e pedante con il quale spesso le “nostre” organizzazioni comunicano…).

    detto questo, il nodo sta da un’altra parte e non credo che in sé per sé possa essere risolto né da un romeo né da chiunque altro. Il nodo è la RAI stessa, il suo collateralismo (asservimento) con la politica, la suo corporate governance, il suo stesso statuto e i suoi costi, che lungi dal valorizzare il canone come una forma di libertà, l’hanno piegata all’imposizione oltre che della politica anche della ricerca dell’audience nella maniera più facile e becera e degli inserzionisti pubblicitari (che sappiamo sono spesso refrattari a vedere i loro prodotti vicini a un racconto della realtà che potrebbe apparire scomodo e controproducente).

    Perciò ecco telegiornali stereotipati, superficiali (mai visto un fact check delle palle che ci raccontano i politici in TV in Italia???) e con sempre meno risorse, talk show intabaratti, spazi di riflessione (salvo rari casi) cancellati, occhi tutti rivolti al gossip nazionale, sperimentazione quasi inesistente, ecc. ecc. Una RAI che vive per mantenere se stessa e la compagnia di giro che le sta attorno.

    Di questo peso bisognerebbe liberare la RAI. Ma è anche compito nostro, da portatori di interesse importanti, sollevare il problema… In mancanza di questo tipo di indicazione, ampia e condivisa, dobbiamo necessariamente stare in silenzio? Precluderci anche la possibilità di qualche lieve adattamento?

    Beh, pur auspicando la “rivoluzione” della RAI, indispensabile perché torni ad essere “pubblica”, di fronte alla proposta di candidatura di Carlo Romeo, ormai posta sul tavolo, io credo sia giusto sostenerla.

    Su questo ovviamente possono divergere le opinioni, ma credo che sull’obiettivo in molti di noi siano d’accordo… Allora perché non sfruttiamo l’occasione per iniziare ad allargare la discussione e per chiedere una riforma vera della RAI?

    un caro saluto e a presto

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